In Bed With Valentina n°16: Bianca El Malek

Per la giornata internazionale delle e dei sex worker, nel lettone c’è Bianca El Malek che tra un telaio, un set fotografico e una performance di burlesque racconta la sua storia e abbatte gli stigma.

Chi è Bianca El Malek?

Prossima domanda? (Risata) Non sono mai stata brava a definirmi, inoltre mi annoio così facilmente che mi reinvento continuamente. A quasi trent’anni credo che i pochi punti fermi che possano qualificarmi sono che sono un’artista, un’attivista e, last but not least, una sex worker.

Nel tuo profilo instagram parli del tuo percorso artistico, dagli inizi come burlesque performer, fino a oggi. Il tuo account è consultabile per approfondimenti circa il lavoro sessuale, la cultura queer e altre tematiche di stampo politico. Da cosa nasce l’idea di questo spazio?

Questo spazio non è stato pensato per fare divulgazione o per “insegnare a vivere” a nessun*, è nato perché sento la necessità di non scendere più a compromessi sulla mia identità, per condividere quel che mi sento di condividere del mio vissuto, sperando di trovarmi così circondata da persone a me più affini e di evitare relazioni tossiche di ogni sorta.

Chi si ritrova sul profilo, a primo impatto, non può sbagliarsi: il rosso dello sfondo, le pose, il trucco e l’acconciatura da pin-up rendono caratteristica la firma di Bianca: come hai scelto questa sintesi stilistica ed estetica?

Chi mi conosce bene sa che non ho un ottimo rapporto con i colori, a meno che non siano iniettati nel derma, (Risata). Il rosso, il nero e il bianco sono gli unici colori di cui mi piace circondarmi, il mio guardaroba, ma anche la mia casa, rispecchiano perfettamente questa estetica. Nella vita ho attraversato fasi decisamente dark e in parte punk, ma la Bianca adulta si sente a suo agio in uno stile piuttosto classico dal gusto retrò; quando non trovo vestiti in cui mi sento bene, li disegno e li cucio, come il tubino rosso e quello vichy che mi vedete indossare nelle foto. La stylist di me stessa sono decisamente io: facciamoli fruttare gli anni trascorsi a studiare fashion design!

Io mi sono incuriosita molto con il tuo “punto croce sovversivo”. Com’è nato?

È nato quando avevo sei anni perché mamma sentiva la necessità di tenermi occupata e tranquilla! (Risata) Negli anni l’ho rispolverato a fasi alterne, fin quando durante il primo lockdown ho capito che poteva essere una valida attività per tenermi occupata e non dare di matto: lo stesso identico motivo per cui mia madre mi aveva fatta avvicinare al punto croce ventidue anni prima! Mi sono accorta di ricevere molti feedback positivi da chi aveva modo di vedere i miei ricami e mi sono chiesta se non fosse il caso di strutturarlo come una vera e propria attività: ho smesso di rimuginarci e l’ho fatto!

L’immediatezza del punto croce sovversivo mi ricorda i collage femministi (tipo @collage.femminicidi) e quelli dellə sex worker (@la_rue_aux_putes per dirne una). I tuoi telai hanno lo stesso impatto e tra l’altro le stesse tematiche, ma immagino che non siano sempre stati così impegnati, data la loro origine?

Avendo iniziato da bambina, sì, i miei primi stitches sono stati decisamente senza impegno politico. Ma appena ho ripreso in mano ago e filo una volta cresciuta, mi sono subito resa conto che ricamando si potevano dire tante cose scomode, tante cose che non ti aspetteresti di leggere sul bavaglino di un bebè e che è proprio leggere qualcosa di improbabile, di sovversivo, su una tela ricamata a richiamare l’attenzione, anziché vederci su l’ennesimo fiorellino.

Uno dei tuoi telai recita “stigma kills”, che è un messaggio a tantissime marginalizzazioni, ma in questo caso è inerente al lavoro sessuale. Raccontaci la tua esperienza.

Lo stigma su chi esercita un qualsiasi tipo di sex work è incisivo e si palesa su diversi fronti, che compromettono più o meno pesantemente la vita e la quotidianità delle/dei sex workers. Nel mio caso specifico, in passato mi sono trovata in difficoltà a dichiarare ai proprietari di casa che pagavo l’affitto facendo la stripper, temevo ripercussioni e che la stabilità della mia situazione abitativa sarebbe stata compromessa. Poi mi sono trovata spesso a disagio a parlarne con i medici, specialisti della salute mentale con cui sarebbe stata buona prassi condividere questo aspetto della mia vita (ora per fortuna sono seguita da specialiste competenti e non-giudicanti). O ancora, lo stigma mi ha creato problemi nelle relazioni di coppia. Lo stigma mi espone al rischio di subire violenze più di quanto non mi esponga al rischio di violenze già il solo essere percepita come donna, perché in quanto persona stigmatizzata agli occhi degli altri sono un essere umano di serie B, su cui è quindi lecito esercitare coercizione e violenza. Ma soprattutto lo stigma uccide chi ha meno privilegi di me: quelle/quei sex workers ulteriormente invisibilizzat* dalla mancanza di documenti, dal non potersi appellare alla giustizia in caso di necessità perché risiedono illegalmente in un paese, quelle/quei sex workers che potrebbero sparire e nessuno se ne accorgerebbe nell’immediato perché non hanno forti legami sul territorio, quelle/quei sex workers razzializzat* e che in quanto persone razzializzate vengono percepite ulteriormente come esseri umani di serie B, quelle/quei sex workers transgender che subiscono la violenza di uomini che non sanno accettare di essere attratti anche da persone non cis. Lo stigma uccide soprattutto loro.

Al di là della divulgazione, cosa ami di più (se la ami di più) tra la fotografia e il punto croce?

Il punto croce senza ombra di dubbio! Niente come il punto croce mi permette di svuotare completamente la mente: per me ricamare è come fare meditazione!

La pandemia ha influito sul tuo processo creativo?

Come accennato prima, la pandemia ha influito positivamente sul mio processo creativo, mi ha fatto trovare il tempo e la concentrazione per focalizzarmi su attività che altrimenti avrei continuato a procrastinare.

Qual è stata finora la risposta del pubblico, ai tuoi contenuti?

Finora sono soddisfatta dei feedback ricevuti dal pubblico e dall’attenzione ricevuta da altre creatrici di arte tessile.

Ci sono progetti futuri che puoi anticiparci?

Per ora posso solo dire che PUNTOCROCESOVVERSIVO è ancora work in progress e confido di riuscire a svilupparlo come merita nell’anno corrente. Al momento, date le varie restrizioni, non sto praticando burlesque ma conto di riprendere quanto prima la mia formazione continua e spero che nuove ed interessanti opportunità si palesino a Milano, città in cui penso di fermarmi quantomeno per il prossimo anno (ho un animo piuttosto nomade). Quindi se al momento volete vedermi senza veli, non vi resta che abbonarvi a Patreon! Non c’è speranza di vedermi nuda scorrendo il mio feed: fuck you, pay me!

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