“Club Godo”, di Jüne Plã è un libro che… da dove comincio?
“Club Godo, una cartografia del piacere” l’edizione italiana edita da Ippocampo Edizioni nel 2020, dell’autrice francesce Jüne Plã che gestisce “Jouissance Club” (omonimo del libro), un account su instagram di miliardi di follower, è un testo che ha fatto scalpore e ha riscosso successo globalmente ed è stato accolto in Italia con tantissimo entusiasmo.
“Club Godo” si propone di essere un manuale, per suggerimenti, su come gioire e godere della sessualità; si divide in due parti: una prima, fatta di manualistica di base di anatomia, funzionamenti fisiologici e condizioni tipiche e atipiche alle quali si può andare incontro; la seconda che è un prontuario di stimolazioni suddiviso in vagina, pene e ano, più un ulteriore approfondimento per le altre zone erogene del corpo, al di là dei genitali.
È sicuramente un libro figlio dei nostri tempi, dove la dimensione digitale ha dato uno spazio così grande a tuttu noi da permetterci di sdoganare moltissima divulgazione – o tentativo di essa – peertopeer, cioè alla pari, in maniera confidenziale, senza pretese né conoscenze specifiche, per creare un ambiente fertile in cui iniziare a parlare di queste cose senza troppi tabù. Mi riconosco in questa ricerca e la rivendico, perché LCDV si è sviluppata all’interno del circolo virtuoso che è venuto fuori da questi rimbalzi digitali, dove si è sperimentati approcci, linguaggi e spazi sicuri; ed è in virtù di questo punto di vista che mi chiedo: ma cosa ho appena letto?
Un’ironica… paura
Parto dalla cosa più semplice e personale, dunque meno importante: lo stile della scrittura. Non so dire, non avendo un confronto col testo originale, se sia un problema della traduzione, ma io non sopporto lo stile pecoreccio che si tinge di umorismo. Non solo sono una grande sostenitrice del linguaggio ironico, anche quando pungente, ma soprattutto lo ritengo essenziale per pensare a un modo di bucare i tabù inerenti alla sessualità: il linguaggio medico, per quanto “preciso”, è patologizzante, quindi stigmatizzante e limitato; il linguaggio “fine”, anche quello nasconde lo stigma e invece di bucare i tabù, li asseconda, infantilizzando o ridicolizzando parole che invece necessitano di essere sdoganate, nella loro naturalezza e volgarità.
Ma l’ironia e l’umorismo impiegati nella maniera del testo di “Club Godo”, semplicemente, non li sopporto: un tripudio ortografico per evidenziare i toni di lettura che, altrimenti, i contenuti non sarebbero capaci di fare evincere; le battutine lasciate sottintese, la selezione di alcune frasi per parlare a tu per tu con la persona che legge, invece di omogeneizzare lo stile per tutto il testo, mi ha dato l’impressione come di leggere un lungo post su facebook, dove la persona scrive ciò che scrive, sapendo di essere vista, più per il piacere di farsi notare che per il bisogno di comunicare qualcosa.
Vi lascio un’immagine: pensate quando qualcunu sta raccontando qualcosa che vi mette in imbarazzo e per distrarre l’audience al quale questo fatto imbarazzante è rivolto, iniziate a fare qualunque cosa pur di distrarla: parlate più forte, ridete a squarciagola, iniziate a fare balletti persino; riuscite nel vostro intento, la persona che stava per raccontare qualcosa di vostro, che vi mette a disagio, non ha più l’attenzione delle altre persone. Ecco, questo sovraccarico stilistico mi ha dato questa impressione: l’idea di improvvisarsi educatrici sessuali ci pare un po’ rischiosa – e avoja se lo è, lo so bene – e allora abbondiamo di umorismo di condimento neanche tanto nel contenuto del discorso, quanto proprio nello stile della scrittura, come se dovessimo trascrivere le emoji. Guardate come sono simpatica, sarò sicuramente anche senza pregiudizi!
Trallalero, Trallallà e il lungo giro a vuoto del linguaggio inclusivo
Nella prefazione di “Club Godo” si legge che l’autrice vuole nominare così le soggettività proprietarie o del pene, o della vagina, per evitare di appioppare loro un’identità di genere che sia necessariamente legata ai loro genitali; il tentativo è quello di mettere da parte il binarismo di genere che vincola il pene all’uomo e la vagina alla donna. Scelta nobilissima, ma mi piacerebbe spingere un po’ più avanti la richiesta e penso fosse plausibile richiedere una spinta in più già nel 2019/20, quando questo libro ha avuto vita.
Intanto ammetto la mia difficoltà a stare dietro “Trallallà”, “Trallallero”, “Oplalà”, perché a volte sembrava parlasse delle persone, a volte dei loro genitali, quindi in più occasioni ho dovuto rivedere il testo per capire per quale motivo, se l’intento fosse quello di abbattere tabù, fosse necessario chiamare i genitali con un altro nome fittizio da aggiungere al repertorio dei nomignoli di cui già abbondiamo; ogni volta che mi raccapezzavo e comprendevo si trattasse delle persone, ritornavo in me.
Dopodiché creare un linguaggio “Inclusivo” senza decostruire un po’ di bias riguardo il concetto di genere, non mi sembra granché funzionale: i riferimenti restano comunque binari, si parla solo di uomini e di donne e non basta includere l’ano – che tutte le anatomie posseggono, al di là delle identità contenute – per fare un discorso che sia veramente oltre la normatività eterosessuale e cisgenere. Vi mostro solo un esempio:
[…] Secondo la credenza popolare, le vulve godrebbero con la testa e i peni in modo meccanico. […]
pg. 61, “Club Godo una cartografia del piacere”, Jüne Plã, L’Ippocampo edizioni, 2020
L’ingenuità che sfiora quasi il candore – come se non avessi bestemmiato leggendo queste pagine – mi ha fatto sorridere. Vediamo meglio insieme: pur di non dire “donne” e “uomini” – che è l’identità di genere -, continua a parlare di stereotipi di genere, ma coinvolgendo i genitali – binari, anche in questo caso. Non solo riduce l’identità e la soggettività alla sua anatomia, che è esattamente l’opposto di ciò che la teoria queer che combatte l’etero-cis-norma e l’essenzialismo biologico si prefissa di fare, ma comunque naviga nel binarismo di genere e di sessualità più tipico.
È un manuale di sesso per persone cisgenere ed eterosessuali che, però, hanno capito che essere cisgenere ed eterosessuale non solo non è la regola, ma non sembra neanche l’unico metro di paragone come cosa più cool che esista. Il punto, però, è che non ci sono altri strumenti di giocosa indagine per capire dov’è che subentra l’inghippo e quindi si resta così, un po’ confusellalà tra i confusillallero.
Gli errori, secondo me
Stiamo ancora navigando nella prima parte di “Club Godo, una cartografia del piacere” e io vi prometto che almeno un paragrafo con tre righe di considerazioni positive ci sarà. Ma non è ancora arrivato il momento.
Ci sono cose sbagliate e altre talmente approssimizzate che, sebbene le intenzioni siano buone, non fanno nulla di buono.
Lo specchietto sull’intersessualità – comprensibilmente approssimativo, di persone intersex se ne parla poco e male e si lascia poco spazio a loro stesse; a mio parere infatti era meglio non idearlo proprio, invece di tokenizzarne (cioè parlarne per dimostrare che s’è fatto, ma senza alcuna cura) un accenno sempre in nome di un’inclusività non ben definita;
Il modo in cui vengono spiegate le mestruazioni, parlando di “cose”, “ciclo”, sorvolando di fretta sulle nozioni positive che, per quanto possano interessare o meno, fanno parte di tutta una serie di pratiche di riappropriazione del sapere mestruale che regge il gioco a decenni di educazione oscurantista;
Il capitolo agghiacciante su cosa fare in caso di violenza sessuale che, sempre in nome di quell’umorismo imbarazzato, non dà nulla né di utile, né di gradevole, anzi: si allinea a una certa comunicazione orrorifica e mostrificante dei rapporti che sta rendendo riconoscibile un certo tipo di femminismo digitale;
Si parla anche di “malattie sessualmente trasmissibili” e mai di “infezioni sessualmente trasmissibili”, differenziazione che è oggetto di dibattito negli ambienti (digitali e non) sexpositive in maniera trasversale, arrivando anche a noi influencer sessuali senza arte né parte – com’è che lei ne sia rimasta immune, è un mistero.
Non sono differenze prettamente linguistiche, sono proprio due cose diverse e distiguerle è un’azione politica importante nell’abbattimento dei tabù: definire le infezioni sessualmente trasmissibili e separarle dalle malattie significa attuare una comunicazione corretta e destigmatizzante; distinguere e separare le due diciture aiuta a comprendere cosa sia l’infezione (quando un virus entra nell’organismo) e cosa la malattia (il virus ha sviluppato una causa che, sintomatica o asintomatica, sta intaccando l’organismo) e dunque a educare la persona anche ad approcci diversi, senza paura, per sé e per le altre.
E ancora: il ridondante e binario discorso immaturo sul porno e il suo consumo. Il leitmotiv di base è quello che conosciamo tuttu: il porno non è educazione sessuale (neanche questo libro lo è, eppure eccoci qui a gioirne in coro). Prosegue continuando a ripetere, a rotazione, disseminato qua e là, come il porno possa deviarci dalla realtà dei fatti e privarci della fantasia. Capito? Brutto e cattivo porno, che ci togli contemporaneamente realtà e fantasia, cattivone!
Ho scritto “binario” perché, di nuovo, trallallero di qua, trallallà di là e intanto i riferimenti a chi consuma porno – e quindi a chi sono rivolte le raccomandazioni e i moniti nel non strafare – sono quasi sempre sugli uomini, ehm pardon, volevo dire i peni. I peni guardano un sacco di porno, poi si fanno aspettative sbagliate. Basta Amico Pene, non guardare i porno, fa male, poi esci traumatizzato con Billie Eilish, faccina che ride e tre punti esclamativi!
La sessualità è questo territorio qua: una zona grigia, scognita, nella quale le leggi montano imperi di paura che si stringono sulla repressione al momento del panico morale e, contemporaneamente, le comunità cercano di esplorarla rendendola quanto più possibile “pop”; ci si illude che sia comunque qualcosa, “il meno peggio” se si vuole, senza tenere conto delle conseguenze, a breve o lungo termine.
“Club Godo, una cartografia del piacere” non ha la pretesa di essere un testo scientifico o didattico; è stata una scommessa credere che il linguaggio e i toni potessero essere strumento curioso per porsi delle prime domande, ma ho motivo di temere che non sia davvero così, o che non lo sia in una direzione che sia sentitamente liberatoria per tutte le persone.
A me sembra che rivanghi sempre negli stessi paradigmi che, attualmente, mantengono, a lungo andare, sempre gli stessi ostacoli a una sessualità che sia veramente senza pregiudizi e senza timori. Se è vero che la rivoluzione passa dal linguaggio, dal linguaggio al pensiero, dal pensiero all’azione; se è vero che comunque questo vale come primo tentativo nell’editoria italiana e quindi nella distribuzione di massa per scardinare certe oscurità tematiche, allora c’è ancora molto da fare e questo primo tentativo va superato con qualcosa di più brillante, il prima possibile.
Ok, adesso arriva il bello
La seconda parte, dedicata alla stimolazione erogena, genitale e non, è la parte migliore, ben pensata e probabilmente l’idea originale e cardine di “Club Godo”; quella dove Jüne Plã non si trattiene in un umorismo costretto, ma sentitamente ironizza nel parlare di come far divertire il proprio cazzo e la propria fica, probabilmente perché è davvero padrona di ciò che pensa e scrive; i disegni sono tra le più belle illustrazioni che abbia mai visto sul tema – il tratto pulito, l’anatomia minimizzata, i colori scelti in una maniera comunicativa chiara ed efficace.
L’esperienza dell’autrice guizza allegra tra le pagine, scrivendo di cuore e con divertimento delle varie pratiche sperimentate per godere. Trovo che sia utilissimo per chi ha bisogno di più idee per fare godere se stessu e lu propriu partner e magari vuole uscire da una o più zone di comfort nelle quali staziona.
(dai, sono più di tre righe)
Masturbation Month ’22 – La Camera Di Valentina
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