Alle porte dell’enorme crisi sociale, morale e politica causata dalle due guerre verso la quale l’umanità stava volgendo, l’Espressionismo iniziò a serpeggiare come esigenza comunicativa nelle arti figurative. Edvard Munch aprì le danze – insieme con altri due grandi maestri rivoluzionari, Ensor e Van Gogh -, ma oggi non parleremo tanto di questo aspetto, quanto di come la ferocia e l’angoscia dell’Espressionismo può, per mano dell’artista, trasfigurare il sesso.
Autoritratto con sigaretta,1895
Simbolista imprevedibile, Edvard Munch fu un grande interprete delle paure più nascoste nel cuore dell’uomo e dei pericoli sulle quali esse accendevano l’allarme, in anticipo sui temi che avrebbero incorniciato il Novecento nell’arte. L’eros è un tema fortissimo, apripista di un binomio eros-thanatos che avrebbe accompagnato i futuri artisti. Perché è così irresistibile?
Possiamo sentirci vicini a Munch, accostarci alle sue opere come se fossero nostre, perché lui, come nessuno prima e dopo, ha posto sulla tela quell’ansia, quel timore adolescenziale che i primi tremori sessuali causano, salendo dalla schiena fino alla testa. La scoperta del sesso e del terrore che a questo legano vita e morte; l’attrazione per la donna che è ancora la caverna del mistero degli Antichi e accenna al nuovo mito demoniaco della femme fatale dell’Art Nouveau; l’Urlo, sì, dell’uomo che scopre se stesso attraverso la carne e impotente e succube cede ai propri desideri, quando una società intorno inizia a stringere la morsa su moralità e senso del pudore.
La prima tentazione carnale è un tema ricorrente in tutto il simbolismo: molti sono gli artisti che per reagire a questi impulsi li trascendono in ambientazioni fiabesche e mistiche – Odilon Redon, per fare un nome -, come una dimensione estatica dalla quale passare, senza il dolore della vita terrena. Munch non può evitare la vita terrena, che va verso una realtà di ferocia e alienazione; non vive, dunque, il sesso alla stessa maniera: il senso tragico della vita lo circonda, gli stimoli intellettuali da Kierkegaard, passando per Ibsen fino a Nietzsche lasciano il segno per quella che diventerà la poetica del pittore e incisore norvegese.
Così succede, tragicamente, a tutti noi quando siamo adolescenti: non possiamo più vivere dentro una fiaba. Qualcosa dentro di noi ci spinge verso il basso e più ci insegnano che quel basso è un posto da evitare, troppo sporco per la gente per bene, più viviamo con conflitto la strada dal basso ventre al cervello. Munch non dimentica l’essere adolescente: non vive dentro un idillio dove tutto è romantico e soave; scoprire il legame primitivo con l’energia cosmica sessuale non ha gli stessi risvolti vitali di Paul Gaugin (maestro alla lontana): tutta la società verte sulla paura e lui non ne è esente.
Il suo spiritualismo simbolista si traduce, graficamente, con una linea fluida ma carnosa e un uso del colore acceso e violento per rappresentare, tra altri soggetti, anche composizioni erotiche non troppo velate. La mostra a Berlino del 1892 fece talmente scalpore, ripudio e scandalo che a seguito di questa coloro che sostennero Munch portarono poi alla Secessione Berlinese e alla fondazione del gruppo artistico Die Brücke (“Il Ponte”) che avrebbe unito la fine dell’Ottocento con le Avanguardie.
Gelosia, angoscia, tristezza, solitudine: sentimenti comuni a tutti. Se legati alla sessualità, ne viene fuori il ritratto dell’adolescenza perché è quello il periodo dove tutto trema, man mano che l’esperienza la fa da padrona nulla di tutti questi resta ingestibile, ma ciò che Munch ha voluto immortalare nelle sue opere è proprio il senso di impotenza dell’uomo impreparato davanti se stesso.Pubertà,1895
Nel 1895 infatti, dipinge “Pubertà“, il manifesto in immagine di ciò che è stato detto precedentemente: una bambina sul letto, sguardo angosciato, mano che copre il pube e un’ombra minacciosa dietro di lei. Sul corpo della donna, dove ogni cosa è tabù – mestruazioni, masturbazione, piacere sessuale – non può che incombere orrorifica questa macchia nera dalla parete. L’intuizione di Munch sta nel fatto che quell’ombra appartiene alla bambina stessa, la quale diventa quindi profetessa inconsapevole delle sue battaglie.
La donna resta, come in passato, un grande tema da affrontare: non più la bellezza preraffaellita lasciata alle spalle, ma la Salomé incubo di Nietzsche e Beardsley.
Il Vampiro, 1895
Munch non si sottrae a questa distorsione fascinosa e sempre nel 1895 dipinge “Vampiro“, iconico al pari de “L’Urlo“. Dagli aneddoti di Munch stesso in realtà si racconta che l’intenzione non era quella di ritrarre per davvero un’aggressione soffocante, un amore troppo vorace, ma un abbraccio sentito e passionale. A voi la preferenza, quindi, della visione, ciò che però fece Munch fu di associare l’immagine di donna- capelli rossi- creatura maligna che da lì in poi sarebbe diventata molto comune, molto pop, diremmo. Infatti, da Munch, a Klimt, fino a Jessica Rabbit, la donna rossa è la Femme Fatale par excellence.
Negli stessi anni ritrae “Madonna“, l’altare blasfemo devoto al corpo che si abbandona: la donna emaciata e pallida si snoda dal basso verso l’alto, un braccio alzato e uno dietro, una cascata di capelli neri a incorniciarle le spalle e i seni e un’aureola rosso sangue. La cornice, elemento particolare di questo quadro che non sempre si trova tra i risultati google, è decorata da spermatozoi: quale monito peggiore di questo a chi consuma e si lascia consumare dal sesso? Se non fa paura questo, cos’altro?Madonna, 1895
Certo son rischi del mestiere di uomo: la sessualità è vitale, ma rischiosa; l’amore prima di completarci, ci disintegra; i nodi nei quali prende forma hanno parole diverse, vite diverse: in “Gelosia” una donna infuocata, seminuda e con evidenti sembianze di una vulva, apre le braccia a uno spasimante che le sta andando incontro mentre in primo piano, dritto verso di noi, un altro ci guarda con gli occhi struggenti di tristezza.
Gelosia,1895
Certo son rischi del mestiere di uomo: la sessualità è vitale, ma rischiosa; l’amore prima di completarci, ci disintegra; i nodi nei quali prende forma hanno parole diverse, vite diverse: in “Gelosia” una donna infuocata, seminuda e con evidenti sembianze di una vulva, apre le braccia a uno spasimante che le sta andando incontro mentre in primo piano, dritto verso di noi, un altro ci guarda con gli occhi struggenti di tristezza.
Quella tentazione primaria, quindi, diventa feroce e minatoria, come ci mostra Munch nelle litografie e nelle innumerevoli versioni de “Il Bacio“: quello che sembra un momento rubato da dietro una finestra, un gesto rivoluzionario e umano lontano dagli occhi indiscreti del progresso che avanza – l’atto più adolescente e puro dell’amore che nasce, rubarsi a vicenda un incontro di labbra al primo momento possibile -, diviene l’unione morbosa e pericolosa, si mangiano a vicenda come due predatori, due corpi fagocitati che quasi non si distinguono più, che sia per troppo amore o troppa disperazione.
Edvard Munch non è stato un grande artista soltanto, un geniale apripista per i movimenti rivoluzionari futuri, un realista che è andato oltre il Realismo, oltre il Simbolismo e oltre l’Espressionismo, collocandosi in una sfera che è solo Edvard Munch; è stato evidentemente un uomo stracolmo di difetti, costellato di drammatiche perdite familiari e di amici.
Il suo erotismo si pone molte domande, senza alcuna risposta: una vita che oscilla tra attrazione e repulsione, timore e tentazione di ciò che è capace di desiderare. L’angoscia del sesso, la prima volta, il dubbio dell’attrazione; qualcosa di illecito, pur sotto la luce del sole.
Un uomo che ha preferito raccontare una visione impaurita davanti alla vita – che effettivamente suonava minacciosa, come oggi, come tutte le guerre – come solo i giovani adulti possono, divenendo quindi immortale.