
Félicien Rops appartenne al movimento dei simbolisti nell’arte, ma in maniera bizzarra: non andava poi così per il sottile, nelle sue opere. Ve lo voglio raccontare perché è incredibilmente attuale nel modo di affrontare la pornografia e il sesso.
Come sapete non mi interessa spiaccicarvi solo nozioni biografiche né ho la presunzione di potervene somministrare di didattiche, perciò eccovi una carrellata veloce di dati essenziali:
Félicien Rops nasce nel 1833 e muore nel 1898; pittore e incisore belga, ereditò da Daumier la passione per le caricature satiriche e infatti collaborò come litografo in diverse riviste, “Le Crocodile”, per citarne una. Lavorò stabilmente a Parigi dove fondò la “Societé Internationale des Aquafortistes” (l’acquaforte è una tecnica di incisione).
Rops fu un simbolista altamente scorretto, volgare oltremodo. Ma fu proprio il suo accento satirico-satanico a caratterizzare il suo lavoro e a distinguerlo dagli altri simbolisti.

Prima, però, di inoltrarci su Rops è giusto che vi apra una finestra su quell’affascinante e libidinoso movimento che è stato il Simbolismo: genitore dell’Art Nouveau, pur essendo vicino alle rivoluzioni artistiche effettuate dall’Impressionismo e dal Divisionismo, si contrappose marcatamente a queste, poiché mentre il primo trovava una via di fuga dalla fotografia e il secondo invece ci si tuffava dentro con interesse scientifico, il Simbolismo puntava a rappresentare l’immateriale tramite la materia; mentre quindi da una parte si allargava e prendeva piede il materialismo positivistico e quella fascinazione per la macchina tecnologica che avrebbe preso il sopravvento per tutti gli anni ’20 e ’30, i simbolisti – artisti e letterati – desideravano andare oltre la sola restituzione ottica dei fenomeni sensibili.
Il Romanticismo già attuava questa ricerca, ma con quella malinconia e nostalgia del passato che non necessariamente interessava a questa “arte ideista” che invece prendeva pieghe a volte inquietanti, a volte beate.
Soggetti a tema etico e religioso sono presenti tramite l’allegoria, compagna fedele del simbolista; soggetti storici, mitologici e leggendari e soprattutto Lei, la famigerata Femme Fatale, la donna angelo, la donna diavolo: è questo il periodo dove fioccano le Salomé, le Cleopatra, le Eva, le Dalida, le Giuditta, le Pandora, le Elena, le Medea, le Medusa e le sirene.
Ed è con le mani nelle loro mani che voglio condurvi a Rops che a differenza di molti altri simbolisti abbandonò il sogno e l’evasione per immergersi nella realtà con il coraggio che forse solo gli espressionisti fecero dopo di lui.
Félicien Rops fu un artista boccaccesco. Mentre tutti i simbolisti usufruirono delle allegorie per dare un qualche insegnamento morale che tendesse ai grandi valori del passato, lui approfittò di questa simbologia non per viaggiare indietro nel tempo, bensì per sbattere la realtà dell’oggi in tutta la sua verità, scomoda e un po’ sgradevole. Mutò, insomma, una caratteristica della simbologia in ironia, fondendo una nuova identità di allegoria: la satira. Che cos’è, d’altronde, se non un simbolo, un qualcosa che rimanda a qualcos’altro?
Questo lo rese – e lo rende tutt’ora – un simbolista sui generis: tutti, da Odilon Redon in pittura a Paul Verlaine in poesia, evadevano. Lui no, lui restava.
L’altra caratteristica che lo distinse e lo attualizza è l’uso della pornografia. L’erotismo e la sessualità sono sempre stati presenti nel Simbolismo, essendo due sfere dell’intimo e del mistero che mantennero il loro fascino sull’intangibile, ma la schiettezza con la quale Rops trattò l’argomento non ha eguali.
L’unico accenno più allegorico se lo permise con Lei, la Donna, ma in maniera decisamente “ropsiana”.
Tutte le donne precedentemente citate avevano, in quanto fatali, la grande mansione di ricordare a cosa l’uomo andasse incontro incombendo nelle loro tentazioni. Rops subì il fascino di questa tema fintantoché potesse traslarlo ai suoi giorni; la donna fatale non era un archetipo, ma una sua coetanea e così doveva rappresentarla.

In quest’ottica “Pornokrates”, 1896 si colloca in un esperimento rivoluzionario per quei tempi preceduto, in bellezza e denuncia, solo da “Olympia” di Manet. La composizione dice “allegoria” a prima vista, ma quale? Una donna bendata è guidata da un maiale, lei sfoggia i suoi accessori da ricca altolocata mentre cammina su una passerella di marmo sotto la quale, scolpite in un bassorilievo, sono rappresentate le vecchie arti.
La pornocrazia non è un concetto inventato da Rops, ma è la definizione che gli antichi greci diedero al potere attuato dalle prostitute sui politici, usando il loro sex appeal, per raggiungere uno scopo personale.
Il simbolista Rops prende quindi il tema della lussuria e del potere sessuale femminile non per farne un monito, ma una denuncia attuale: il nudo infatti non è “antico” né scarno, ma arricchito dagli accessori di una moda incastonata in un’epoca, inconfondibile.
Pornokrates sfuma il contorno della simbologia allegorica per darle un tono satirico e quindi di denuncia. Il corpo della donna rimanda a qualcos’altro, ma diventa estremamente più familiare, meno astratto; reale, dunque ancora più difficile da digerire, più oltraggioso, una critica impossibile da ignorare.
Con la Pornocrate si concretizza quell’allegoria di stampo satirico, politico e sociale che solo con Olympia, un’altra prostituta, è stata possibile. Questa dissolutezza era accettabile nella Classicità, con nudi rappresentanti vecchi déi, baccanali e compagnia bella; così diventa talmente tagliente che i feriti non possono che gridare allo scandalo. E scandalo fu.
Da una parte Félicien Rops rivoluziona la rappresentazione femminile dandole semplicemente contesto: una donna forse è cattiva, sì, ma rimane una donna, senza astrazioni; la pornografia non deve essere pretesto per raccontare dell’altro, ma basta a se stessa per raccontarsi, perché nella carne c’è anche lo spirito e non è sempre detto sia santo. In questo senso questo acquafortista è “francamente pornografico”, come lo definì la storica d’arte Edith Hoffmann. Non un artista facile, certamente.
Egli fu estremamente democratico nell’attenzionare il pudore di tutti, indistintamente: uomini e donne non importa, Rops li ha denudati nella maniera più spietata.
Nelle sue illustrazioni per “Les cents légers croquis sans prétension pour réjouir les hônnetes” (i cento bozzetti leggeri senza pretesa per intrattenere gli onesti e niente, io mi fermerei qui) del 1878-81, e anche per “Les Sataniques” del 1882, ci sono delle esplicite scene di sesso che non lasciano spazio all’immaginazione.


In questo caso, però, la contemporaneità è lasciata alle spalle in favore di una mitografia atemporale: uomini nudi, donne semivestite come delle divinità antiche intenti a raccontare le gioie e le trappole del sesso.
Qui Rops ha deciso di rappresentare una pornografia “onesta”, fine a se stessa, valida come lo sono tutt’oggi gli affreschi di Pompei; un’onestà eterna e scandalosa, poiché libera nella sua naturalezza: non esiste un’epoca che possa rinchiudere questa natura, nonostante la censura, dall’antichità agli attuali standard della community.
La reputazione libertina e anticlericale fece di Félicien Rops un dio minore del simbolismo, eppure oggi gli dedico volentieri un altare. Il suo genio è stato quello di non tralasciare e ignorare il carattere fortemente evocativo del Simbolismo, applicandolo però al suo contesto sociale e velandolo quindi di un’ironia che non era comunemente diffusa, in quel movimento artistico e letterario.
Ciò che ha provato a fare è stato quello di propinare delle allegorie che però, piuttosto di guardare alle spalle della storia, reggessero dritto lo sguardo sul presente.
Le sue donne, poi, sono tra le allegorie più vicine che abbiamo e di sicuro anche più coraggiose: cattive, sensuali, complete. E nude.
Chissà cosa farebbe oggi Rops, avendo instagram, se si trovasse a dover coprire i capezzoli della sua “Tentazione di Sant’Antonio”… oggi più che alla fine dell’Ottocento, rischierebbe il ban!

Bibiliografia:
“Rops et Manet: Pornocratès au prisme d’Olympia”, Denis Laureux
“Félicien Rops – Auguste Rodin anatomie d’un rencontre”, Denis Laureux
L’Universale dell’Arte, le garzantine