Fuori dall’ingurgito social, una riflessione sull’azione di comunicare, nelle relazioni sessuali, del perché sia il suggerimento numero 1 nonostante sia difficile e più complesso di come si pensi.
Tanti piccoli passi iniziali
Tutta la riflessione è partita da un link distribuito durante il corso del Kinsey Institute dell’anno scorso; di una sex coach statunitense, Lola Jean, che ha ideato delle grafiche di menù alla carta da compilare per esprimere con la/lu/il propria/u/o partner: ci sono menù basilari, per fare i primissimi passi nell’esprimere i proprio desideri, e poi quelli più espliciti e complessi “Sex menù”, per entrare dentro pratiche sessuali più atipiche. L’idea è adorabile tanto quanto la grafica ma lo strumento della compilazione di frasi preimpostate, per agevolare l’espressione verbale, non è una novità di per sé.
Mi aveva, però, colpita perché la semplicità dei concetti nelle frasi di default mi ha restituito l’idea che, nonostante “comunicare è la chiave” sia un concetto cardine, ribadito infinitamente, negli ambienti sex positive, mi sembra che non sempre venga spiegato il come comunicare, né il perché risulti, a volte, difficile. Ma se esistono dispositivi che partono dall’abc della comunicazione tra persone consenzienti, mi sembra che, probabilmente, serva ripetere alcune cosette.
Formarsi nel silenzio, dunque perché parlare?
La complessità che si cela dietro la difficoltà nel comunicare apertamente con le persone con cui abbiamo una relazione sessuale e/o romantica è multisfaccettata: la sempiterna assenza di educazione sessuale e affettiva durante la crescita di ognuna/u/o di noi, nella formazione del nucleo familiare che ci protegge e in quello che formiamo noi in seguito; la società che sessualizza troppo o troppo poco, in ogni caso sfrutta la sessualità a suo piacimento consumistico, senza però dare altri spazi di gestione e comprensione; ma poi c’è dell’altro, che invece non è facilmente ascrivibile a un’esperienza culturale e collettiva, ma ha a che fare con la formazione della nostra personalità e del nostro carattere.
Viene da sé che non sono certo le esperienze solamente sessuali a sgrovigliare i perché di certe difficoltà comunicative (vale a dire, se hai difficoltà nell’esprimerti probabilmente questa cosa inficia ogni contesto, non solo quello sessuale), né le testimonianze singole e individuali, ma forse è possibile individuare dei pattern che si ripetono uguali, per tutte/u/i.
Se la società prima non ti dà strumenti per gestire la tua sessualità – mutevole – e poi ti dice “ma ehi, la chiave è comunicare!”, penso che vengano meno alcuni passaggi.
Le responsabilità
Ovviamente sei responsabile dei tuoi sentimenti, delle tue emozioni, delle tue pulsioni e anzi qualunque narrazione troppo astratta rischia di infantilizzarti e sollevarti dal dovere che hai nell’imparare a gestire tutto ciò che ti attraversa, soprattutto in relazione con l’altra/u/o; ma forse non sei totalmente responsabile del perché ti riesca tanto difficile dire ciò che vuoi (o non vuoi).
Qualunque fonte stimoli le nostre attrazioni e fantasie sessuali, a parte qualche intima parentesi di chiacchiere tra amiche/u/i per confrontarsi (quando accade, e ben venga), non abbiamo poi strumenti né spazi di condivisione per poter processare quello che abbiamo ed elaboriamo.
Questo perché la sessualità o è considerata un fatto troppo privato per avere discussione, oppure viene considerata un fatto di discussione ma solo per vendere qualcosa, che sia un’idea di sessualità e di sesso, o un prodotto al suo fine.
E quindi, queste difficoltà?
Ho fatto un giro di ricognizione con le persone che seguono LCDV tra telegram e instagram.
Sulle 42 persone che hanno partecipato al sondaggio a risposta multipla su telegram (poche, ma ce le teniamo), una parte pari al 38% è fortunata abbastanza da non avere grosse difficoltà a comunicare con una/u/o o più partner; un altro 38% ha difficoltà dipende dal rapporto col partner, mentre il 21% indica che dipende dal rapporto che la persona ha con se stessa nel momento in cui si presenta l’occasione.
Quest’ultimo aspetto ha a che fare con il contesto emotivo, cioè da ciò che ci portiamo dentro e che influenza la nostra quotidianità, intaccando anche la sfera sessuale, se coinvolta. Il discorso è molto più complesso di come lo sto riassumendo, ma anche solo l’accenno restituisce l’idea di come tutto, nella nostra vita, non solo sia collegato ma anche influenzabile vicendevolmente.[come as you are, Emily Nagoski, edizioni Spazio Interiore, 2017].
Altre percentuali interessanti: il 19% tra le persone votanti pensa che a rendere la comunicazione più difficile sia il contesto erotico che si viene a creare: la differenza tra progettare una serata piccante, per esempio, è ben diversa dall’improvvisarla. Pianificare – lo sanno bene le persone che hanno relazioni poliamorose – a differenza di come si possa pensare agevola l’erotismo, ma soprattutto spiana la strada per esprimere desideri che altrimenti sarebbe difficile mettere a tavolino.
Il 16% ha paura di cosa le/lu/i partner possano pensare, teme di essere giudicata/u/i. Anche questa cosa, è un grande classico, dico bene? Dovremmo avere a disposizione una quantità infinita di strumenti su come liberarsi dalla paura del giudizio, eppure eccoci qui, a dimostrazione che forse sovraprodurre contenuti senza rallentare non è poi troppo utile.
Certamente ognuna/u/o ha bisogno di una soluzione peculiare, ma quello che sto provando a immaginare è un discorso politico e orizzontale sulla sessualità che possa aiutare le persone nella condivisione di brutture e difficoltà, forse addirittura di traumi, per risollevarci insieme, nessuna/u/o esclusa/u/o.
Immaginare soluzioni
Per quanto riguarda me, la comunicazione dei miei bisogni/desideri è stata complessa fino a 4 anni fa circa. Da un punto di vista romantico e sessuale ho vissuto nell’incertezza di sapere davvero cosa volessi. Volevo bianco ma chiedevo nero e desideravo giallo, tutto questo sempre in modo un po’ arrogante perché “oh, come puoi tu partner non sapere quello che voglio?”. Poi ho iniziato il mio percorso di libroterapia e ho letto storie simili alla mia, capendo perciò che col cavolo che potevo pretendere dall’altro se manco io lo sapevo. Ad oggi, se ho voglia di qualcosa o bisogno di qualcosa, semplicemente lo dico. Ho impostato la mia relazione su questo sistema mettendo in chiaro che né io né lui possiamo sapere sempre cosa vuole l’altro, così è necessario parlare e dire le cose come stanno. A volte è più difficile e allora facciamo i disegni. Poi ce li guardiamo e cerchiamo di capire perché io sono sempre più piccola di tutti i miei desideri e bisogni e lui invece propone un disegno tutto equilibrato. In pratica così facendo apriamo la strada al dialogo senza accorgercene. Anche dal punto di vista sessuale, per quanto la sua curiosità nei confronti del sesso anale sia più grande della mia, se ne discute anche fra le risate. Oppure quando è una settimana che non riusciamo a prenderci del tempo per noi e l’intimità, ecco che esce fuori un “oh, io domani scopo e poi faccio coccole, chi c’è c’è, eh!” e ridendo ci rendiamo conto di aver bisogno di spazio di coppia. Ad oggi, per me, è fondamentale questa complicità.
Y. donna
- Costituire uno spazio sicuro e trasversale dove crescere insieme
Anche questo è un tema che si ripete nella sexpositivity: il safe place. Talmente tanto ripetuto che quasi si perde il significato anche di questo, seppure è esso stesso mutevole a seconda dell’esigenza (un luogo sicuro per praticare sesso kinky non richiede le stesse prerogative di uno spazio sicuro per persone vittime di violenza di genere, sebbene possano avere cose in comune hanno esigenze e scopi diversi).
Se io penso a un safe place per poter apprendere modalità di comunicazione, la prima cosa che mi viene in mente non è tanto una differenziazione di età e genere; non mi serve che sia un luogo riservato a un target specifico, piuttosto un luogo dove praticare la sospensione del giudizio.
Un luogo dove, in maniera circolare, ci si confronti e si metta in discussione i preconcetti che ci portiamo nel nostro bagaglio personale e che possa quindi agevolare le persone nel decostruire fino ad arrivare a un nocciolo che, se non propriamente uguale, è simile per ciascuna/u/o di noi.
- Educazione sessuale e affettiva nei luoghi didattici e affiancamento nei luoghi di lavoro
Che in soldoni significa: sì, introducete questa benedetta educazione sessuale e affettiva nelle scuole, non parlando soltanto di malattie e orrori, ma anche di divertimento, modi per schivare stigma vari ed eventuali e di piacere; ma collocatela anche nei luoghi di lavoro, per le persone adulte formate.
Chiunque può avere un “risveglio” o una rivelazione (come volete chiamarla, la chiamate) sessuale che abbia a che fare trasversalmente con il proprio orientamento sessuale e/o relazionale, con la propria identità di genere e con i propri gusti erotici a qualunque età, per qualunque motivo.
Questa cosa, tanto bella quanto può diventare distruttiva, ci riporta a una conoscenza di noi che dire primordiale è riduttivo.
Dove sono gli strumenti per poter comunicare tranquillamente, magari all’interno del più tipico dei matrimoni etero-cis-mono-normati, dove si fa sesso “procreativo” e “tradizionale”, se in qualche modo qualcosa è cambiato in noi?
Ho l’impressione che continuare a premere per un’educazione sessuale solo per persone giovani, senza considerare le persone adulte, sia alquanto limitato.
Scuola e lavoro richiedono una prospettiva sì sexpositive, ma solo se arricchita da approcci antirazzisti, decoloniali e anti-abilisti; prospettive arricchenti che io non saprei approfondire adesso, ma che effettivamente sollevano le problematiche del “comunicare” rivelandone i problemi propriamente inerenti al linguaggio, all’inclusività di soggettività neurodivergenti e disabili e le soggettività razzializzate.
A che serve parlare di sesso se non possono parlare a tutte/u/i nella maniera che tutte/u/i possano davvero comprendere?
- Giocare con approcci diversi
La comunicazione non è soltanto verbale. In questo senso “la chiave è comunicare!” diventa un suggerimento opaco perché sottintende che la comunicazione “vera” sia quella a voce, ma le nostre relazioni non sono fatte solo di cose dette, ma anche di quelle non dette.
La testimonianza di Y, all’inizio del paragrafo, ci dimostra non solo come una sfida possa essere personale, ma di come si diversifica nel momento in cui viene condivisa. Lei e il suo partner hanno trovato prima un compromesso di ammissione “non posso indovinare quello che vuoi”, a questo hanno aggiunto l’utilizzo dei disegni e infine dell’ironia, per comunicare vicendevolmente. Quindi non solo effettuano una comunicazione non verbale (il disegno), ma anche quella verbale non è semplicemente diretta: “voglio questo”, si arricchisce con altro.
Possiamo sempre sperimentare, tentare, imparare, scontrandoci con i nostri limiti e i nostri giudizi senza sopprimerli né oscurarli; può essere sgradevole trovare in noi pensieri che abbiamo appreso essere considerati negativi, ma se fanno parte di noi, invece di demonizzarli, dovremmo prendere tempo e spazio per poterli cambiare, qualora lo volessimo.
Non c’è una ricetta unica per tutte le persone, al contrario; ci sono però approcci nuovi che possiamo fare nostri e che possono essere flessibili per ogni occasione, anche per quella sessuale.

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