Sex Story è un viaggio piacevole nella storia dell’umanità, volgendo lo sguardo verso il lato più comico, contraddittorio e nascosto: quello del sesso.
L’enorme libro che vi ritrovate tra le mani ha la grossa pretesa di svelarvi tutti i tabù della storia: scritto da Philippe Brenot, psichiatra e antropologo francese, e illustrato da Laetitia Coryn, illustratrice e autrice di fumetti, “Sex Story” parte dalla fatidica notte dei tempi e arriva non solo ai nostri giorni, ma anche a un futuro ipotetico, dove la sessualità e il nostro rapporto con essa è notevolmente mutata. Ho amato e non amato questo libro e ora ve lo racconto un po’.
La striscia di fumetto: un viaggio nella storia dentro il viaggio della storia.
Il sottotitolo del libro è “la prima storia del sesso a fumetti” ed è fondamentale attenzionare, in questo caso, proprio lo stile del fumetto.
Oggi ci spostiamo sempre più verso una nuova modalità di fruire il fumetto, con le graphic novel, le quali sono un lavoro d’arte visiva. Queste storie, sempre più in aumento, stanno cambiando l’anatomia del fumetto, rendendolo più autonomo e concreto, in maniera trasversale, di modo che arrivi veramente a tuttu, di ogni età e interesse.
Ma la natura di “Sex Story” prettamente a “striscia” (bande dessinée) è un po’ come un salto nel passato: il disegno fumettistico e caricaturale non è fatto con perizia di dettagli, non è realistico; la sua esigenza è quella di fare scorrere velocemente la narrazione e di seguirne il ritmo con un disegno sintetico, ma assolutamente geniale. Ecco quindi che riaffiorano quei tratti che distinguono una striscia dalla graphic novel, le “onomatopee grafiche” di un discorso articolato. Ho amato moltissimo questo stile e l’essenzialità funzionale alla storia, l’ironia e la sfrontatezza che servivano per raccontare tutti i segreti della vita sessuale delle persone e delle civiltà del passato.
La storia inedita delle civiltà: quella del piacere
Un compendio al manuale di storia che seguiamo fin dalle elementari: la storia dell’evoluzione del piacere. Non solo della scoperta del piacere in sé, ma anche di come la società si sia costruita intorno per agevolarlo, poi reprimerlo, poi agevolarlo di nuovo, poi reprimerlo…
L’invenzione del pudore, la prima violenza sessuale, la nozione di bello, la disparità fra i generi, la masturbazione, l’invenzione del primo vibratore, del preservativo, l’omosessualità, il matrimonio, le lotte sociali, i primi femminismi, tutto si sviluppa e si spalleggia in una narrazione che coinvolge grandi personaggi del passato che non abbiamo mai pensato di interpellare per porre loro domande del tipo:
“Ma voi, quando e se, scopavate?”
“E come lo facevate?”
“Sex Story, la prima storia del sesso a fumetti” ci conduce in un viaggio nel tempo cercando di rispondere, senza troppi fronzoli, a questa domanda; la sfrontatezza e il linguaggio immediato – per questo esplicito – del fumetto non lascia spazio a dubbi.
La conclusione e i promemoria: si salvi cosa può
Ho attraversato tutte le pagine di “Sex Story” con un grande entusiasmo. Un breve campanello di allarme si è attivato quando ho letto per la prima volta “transessualismo” e il modo in cui viene descritto un personaggio transessuale. Ho aspettato la fine per avere una conferma o una smentita (purtroppo la prima), ma andiamo con ordine.
La narrazione dell’opera, dopo aver viaggiato nel tempo, arriva ai giorni nostri; a quel punto, l’autore e l’autrice di “Sex Story”, non soddisfatti/e, ipotizzano il futuro del sesso, dove tutto è cyber-digitale-virtuale e il buon vecchio sesso fra corpi è un atto ribelle. Non riesco ad abbracciare questa visione paternalistica e timorata; viene a mancare anche tutta l’ironia finora attuata perché è proprio palese che sia una visione dal gusto distopico e me ne sono dispiaciuta parecchio.
E qui richiamo una riflessione: in che modo dobbiamo approcciarci, quando parliamo di sesso, che sia quello attuale o quello immaginato, del futuro? Innanzitutto, per quanto difficile, dovremmo uscire fuori da noi, lasciando i nostri pregiudizi e i nostri moralismi; e poi, se dovessimo parlare del sesso del futuro, forse sarebbe bene, giacché pratichiamo l’accoglienza delle atipicità, metterci in un atteggiamento più di curiosità che di timore?
È perfettamente possibile che il sesso del futuro sia cyber lunatico… e allora? Saremo uomini, donne, non binary e queer talmente diversu che è inutile giudicare (ciò che ancora non c’è) con gli occhi del presente senza uno sforzo immaginativo. Mi è parsa proprio una scivolata di stile.
TW: transfobia e puttanofobia
Per due volte appare la parola “transessualismo”: nel capitolo 9 “I Lumi, repressione e libertinaggio”, quando si racconta brevemente della vita di Charles de Beaumont, il Cavaliere d’Éon. Riporto l’ultima vignetta:
“Alla sua morte fu chiaro che era fisicamente un uomo, con una tale determinazione a voler vivere da donna da dare il nome all’”eonismo”, cioè il bisogno di travestirsi. Non è escluso che si sia trattato di un caso di transessualismo, profonda convinzione di una diversa identità sessuale”.
In fondo ai capitoli, prima della ricchissima bibliografia, ci sono una serie di promemoria. Alla voce “orientamento”, dove spiega brevemente e superficialmente gli orientamenti sessuali, dice, in fondo:
“Identità/orientamento – quando si parla della definizione di identità e di orientamento c’è una precisazione necessaria da fare, perché la questione genera molta confusione: l’orientamento sessuale non è una questione di identità […]. Il transessualismo è un disturbo dell’identità sessuale: il soggetto è convinto di appartenere all’altro sesso e non a quello che gli è stato attribuito al concepimento. Ha perciò il desiderio di trasformare il proprio corpo in modo da farlo corrispondere a ciò che sente. È una grande sofferenza. Si tratta di anomalie biopsicologiche rare […]”.
Incuriosita, mi sono andata a cercare la differenza tra “transessualismo” e “transessualità” – avevo il dubbio che magari fosse una traduzione sbagliata dal francese -. Di base, non ve n’è alcuna, nei contenuti: “transessualismo”, come in italiano, viene usato per la definizione patologizzata della disforia di genere, escludendo quindi il discorso di autodeterminazione dell’identità di genere.
Sempre nei promemoria si trova la voce “prostituzione” e qui la faccio breve: non si accenna ad altro che alla “schiavitù”; solo alla fine lascia una domanda aperta: “abolizionismo o regolamentazione?”, ma i toni paternalistici ci sono tutti.
“Sex Story” è un libro pubblicato nel 2016 da Philippe Brenot, psichiatra e antropologo e illustrato da Laetitia Coryn.
Il 2016 non è stato un anno troppo distante dai discorsi sull’autodeterminazione, sul lavoro sessuale (soprattutto in Francia) e sulle identità di genere; la riduzione delle identità transessuali a delle patologie mi sembra particolarmente fuori luogo, soprattutto da un professionista del settore che, da quel che vedo, ha scritto moltissimi testi sulla sessualità.
Purtroppo non mi stupisce – trattare di determinate tematiche non significa una reale accoglienza alla complessità e l’ultimo capitolo tradisce troppo il paternalismo spiattellato dopo -, ma mi dispiace parecchio e mi fa anche rabbia.
“Sex Story, la prima storia del sesso a fumetti” resta un libro con cui iniziare ad approfondire le curiosità circa la sessualità in maniera leggera e briosa, soprattutto per scoprire fin dove siamo arrivatu e dov’è che potremmo andare; è un libro pieno di ironia e piacevole alla lettura, ma per quanto guardi bene al passato e comunque tenti di abbozzare un futuro – che non condivido -, si tradisce proprio nel presente.