Storie Di Strada 10: anche le vecchie scopano

Lavoro sessuale e terza età

Claudia di Putamente Poderosas, Colombia

Durante il Putitalks con Putamente Poderosas, collettivo di alleate delle lavoratrici sessuali di Medellin, Claudia mi racconta di essersi appassionata al tema del sex work grazie ad un’anziana prostituta. 

«Hanno molti clienti giovani fissi che le chiamano con nomi di professoresse, di zie, di amiche della loro mamma, che con loro realizzano le loro fantasie».

Durante il laboratorio “Puta, Cadeneta y Chisme”, una sex worker della terza età le racconta:

«Ho 63 anni e sono andata con uno di 28 che mi chiamava Gloria, mi ha chiesto se poteva chiamarmi Gloria, perché così si chiamava una professoressa che mi assomiglia e che gli piaceva molto, e io gli ho detto: “Fai pure figliolo! Se vuoi chiamarmi Gloria, chiamami Gloria!”». 

Dominique, Perù

D. è una donna trans peruviana di 67 anni e lavora in strada da quando ne ha circa 20. Un giorno, durante un aperitivo organizzato con le altre sex worker trans, si chiede preoccupata:

«Cosa faremo quando saremo vecchie? Il futuro ci spaventa».

Alice, Italia

Alice è una ex lavoratrice sessuale italiana. «Ho scelto questo nome perché con me è come entrare nel paese delle meraviglie» mi dice un giorno. In vista di questo articolo le chiedo se quando lavorava in strada c’erano anche delle lavoratrici più vecchie.

«Certo! C’era una che chiamavamo “la nonnina”. Era un’istituzione. Aveva 70 anni, o forse pure di più. Raccontava sempre di essere scappata dalla campagna per lavorare in un bordello romano. “Avevo fatto carriera, ero diventata la tenutaria, ma poi è arrivata la Merlin!” diceva quasi tutte le sere. Era incredibile, aveva uno stile anni ‘40. Non si preparava, non si truccava. Poteva essere tua nonna».

Elena Reynaga (Segretaria generale di RedTraSex), Argentina

Elena è un volto storico dell’attivismo per i diritti delle lavoratrici sessuali in Argentina e in tutta l’America Latina. Nel suo Putitalks – uno dei più emozionanti – ripercorre la storia del movimento delle sex worker e ci regala tutta la sua saggezza.  Elena inizia a lavorare nel 1973 come ballerina di un cabaret.

«Una volta ero giovane, avevo dei bei fianchi e gli altri attributi al posto giusto»

dice ridendo.

«Il 24 maggio del 1976 fu la prima volta che mi arrestarono per circa 3 mesi perché lavoravo in strada».

Anche dopo l’instaurazione della democrazia avvenuta nel 1982 le cose non migliorarono, almeno per le lavoratrici sessuali. La polizia nonostante ricevesse laute somme di denaro, continuava ad insultarle, incarcerarle, umiliarle. Da qui nasce l’esigenza di fare qualcosa, di organizzarsi.

«Sapevamo che questo non doveva succedere e che se non avessimo fatto noi qualcosa, nessun altro l’avrebbe fatto al posto nostro».

«Quali sono i problemi con cui si scontrano le lavoratrici sessuali della terza età?» le chiedo.

«Gli stessi problemi che affronta la segretaria, la venditrice, l’impiegata di una banca. In questi ultimi 10 anni sembra che essere anzian* non venda. Ti screditano, non si da valore all’esperienza. Gli anni ti danno saggezza, esperienza. Noi siamo come uno scrigno in cui accumuliamo conoscenza. […] Prima, quando ho iniziato, a 19 anni, quando c’era una collega più grande di 50 anni, noi la rispettavamo molto, perché lei era stata arrestata molte volte, aveva passato tantissime cose e perché ci insegnava come esercitare il lavoro sessuale, quanto chiedere. Una collega che ha insegnato a me, diceva: “Quando vieni a lavorare il cuore e la vergogna li devi lasciare a casa” […] Oggi questo non succede. Le lavoratrici più anziane, molte volte sono discriminate dalle loro stesse colleghe, ma questo succede in tutti gli ambienti lavorativi».


Facciamo una prova. Chiudete gli occhi e immaginate una lavoratrice sessuale. Una prostituta che lavora outdoor, una mistress, un’attrice porno, quello che volete, purché sia una sex worker. Pront*?

Con molta probabilità avrete immaginato una donna (cis o trans) bella, sexy, fresca, soda e soprattutto giovane. Le rappresentazioni delle sex worker non sono carenti solo su un piano delle storie narrate, ma lo sono anche rispetto alle soggettività. Nella narrazione dominante non c’è posto per le cesse, le grasse, le vecchie. Sono tutte giovani e favolose.

Eppure, per dirlo con Maria, sex worker egiziana di quasi 60 anni: «Ci siamo anche noi».

Il tema del lavoro sessuale esercitato da persone over 50 – in modo particolare da donne cis – ci consente di affrontare almeno due ordini di questioni estremamente importanti: il tabù della sessualità femminile a partire dalla menopausa e la necessità di riconoscere il lavoro sessuale come un lavoro.

La menopausa, che altro non è se non una tappa che segna la fine della fertilità per le persone di sesso femminile, viene fatta spesso coincidere con l’invecchiamento e la fine della vita sessuale. 

«Le nonne ti dicevano che morivi sessualmente» racconta Elena. Se la sessualità delle giovani donne viene controllata e disciplinata dal santo modello patriarcale, eterosessuale, coitocentrico e monogamo, quella delle donne over 50 anni subisce una progressiva invisibilizzazione e negazione. Pensiamo alla pornografia: quante persone over 50 abbiamo visto? Quanti corpi raggrinziti? Quante tette e culi cadenti? Quanti capelli bianchi? 

Perché? Sarà forse le persone della terza età non scopano? Non credo. E qui, il pensiero vola subito al mio tenero e arrapato nonnino, che fino all’ultimo – non sapendo come e con chi esprimere il proprio desiderio – ci provava con le domestiche, che puntualmente (e giustamente) abbandonavano l’incarico.

La sessualità e l’erotismo per ognun* di noi cambia, si evolve, assume forme e conquista immaginari ogni volta differenti.

Ma in una società fallocentrica ed eteronormata, che ci insegna che fare sesso significa infilare un pene in una vagina e che solo alcuni corpi e soggettività hanno il diritto di desiderare ed essere a loro volta desiderati, non stupisce che l’accesso alla sessualità per delle persone – soprattutto donne – over 50 sia proibito.

Roberta Giommi, psicologa, psicoterapeuta e direttrice dell’Istituto Ricerca e Formazione, durante una lezione sull’educazione sessuale estensiva, racconta che molte persone arrivano in terapia perché vivono la menopausa/andropausa e/o la terza età con estrema paura e difficoltà:

«Dobbiamo dirgli che devono pensare alla sessualità in modo creativo. Il desiderio sessuale è nella testa, nella pancia, nella pelle. La sessualità abita più luoghi».

Ricordiamocelo. La sessualità è di tutt*, anche delle nostre mamme, nonne, bisnonne, zie. La sessualità è nostra e ne dobbiamo fare ciò che vogliamo (purché ci sia consenso si intende).

Come accennavo, parlare di terza età e lavoro sessuale ci offre l’opportunità di riflettere sia sulla gerarchia e discriminazione, spesso interna allo stesso settore, verso le lavoratrici più vecchie, che sulla paura del futuro.

«Fino a che età si può fare sex work?» chiedo ad Elena Reynaga durante l’intervista.

«Siempre hay un roto para un descosido (letteralmente: a nessun* manca qualcun* che la/lo desideri) […] Puoi lavorare fino ai 60, 70, ma io parlo per me: mi sono ritirata a 50 anni perché non mi stava andando troppo bene in termini di discriminazione. Mi stavano discriminando troppo. Si stava abbassando la mia autostima. Mi dicevano di andare a prendermi cura dei miei nipoti, le mie stesse colleghe me lo dicevano. Per di là passavano ragazzi giovani…quindi mi sono detta che quello non era più il mio posto».

Le parole di Elena ci fanno riflettere non solo sulla negazione e ridicolizzazione della sessualità femminile a partire dalla mezza età, ma soprattutto sugli effetti della mancanza di una legge che consideri il lavoro sessuale un lavoro. In Argentina, così come in Italia e in molti altri paesi, la prostituzione non è criminalizzata, ma non è nemmeno riconosciuta come un lavoro vero e proprio. Ciò significa – tra le altre cose – che le lavoratrici/lavoratori sessuali (assieme a tantissime altre categorie) non avranno una pensione.

«Una legge sul lavoro sessuale oggi deve tenere in conto che noi lavoratrici sessuali non possiamo lavorare fino ai 60 anni, perché noi lavoriamo con l’immagine, con il corpo, anche con i nostri sentimenti. Tutto si esaurisce, deperisce. È la natura. Quindi se devi restare lì [a lavorare] e farti abbassare l’autostima meglio di no. Dobbiamo andare in pensione più o meno verso i 45 anni».

La mancanza di riconoscimento legale impedisce a molt* sex worker – e insisto: anche ad altr* professionist* – di pensare al futuro, quando non saranno/saremo più produttiv*, attraenti, forti. La difficoltà di proiettarsi nel futuro da un lato costringe a concentrarsi sul qui ed ora e dunque spesso motiva la scelta – influenzata anche da altri fattori – di non utilizzare metodi barriera per prevenire le infezioni sessualmente trasmissibili; dall’altro conduce a sviluppare l’arte del risparmio. Ma avremo risparmiato a sufficienza per metterci di vivere con serenità o dovremo continuare a spremerci, a darci a più non posso anche quando saremo sfinit*?

«Cosa faremo quando saremo vecchie?» chiedeva Dominique.

La lotta delle lavoratrici e dei lavoratori sessuali si muove dunque anche in questa direzione. Perché in questa battaglia nessun* deve restare indietro. Abbiamo bisogno di leggi che tutelino tanto la lavoratrice e il lavoratore di 20 anni, quanto quell* di 60, quell* che lavora online e quell* sul marciapiede, ecc. La battaglia è comune, e se non fosse ancora chiaro, vi lascio così, con le parole lucide e potenti di una delle donne più forti che io abbia mai conosciuto:

«Il Covid ci deve lasciare un insegnamento: tutta la conoscenza ha valore. Quella di voi giovani che maneggiate così bene questo arnese che si chiama telefono, Twitter, Facebook, i social. Ma anche quello che abbiamo fatto noi, quello che facciamo da un sacco di anni, è buono. Proviamo ad unire quella conoscenza che hai tu, che hanno tutte le giovani, anche lavoratrici sessuali, con la nostra conoscenza ed esperienza. Uniamoci e facciamo la rivoluzione una volta per tutte! Perché il movimento latino-americano di lavoratrici sessuali e quello di tutto il mondo ha bisogno di tutte e due. Ha bisogno delle giovani, della loro conoscenza e sfacciataggine – 30 anni fa nessuna diceva di essere una lavoratrice sessuale, nessuna ci metteva la faccia, ora lo dichiarano orgogliosamente – ma non dobbiamo lasciare le altre indietro, bisogna rispettarle. Noi abbiamo spianato la strada.
Oggi possono camminare sull’asfalto, noi abbiamo camminato sulla terra, sul fango.

«Colleghe, colleghi»

dice Elena Reynaga rivolgendosi a tutt* i/le sex worker in ascolto, e io lo dico a voi

«facciamo veramente la rivoluzione!».

Grazie ad Alice, Dominique, Putamente Poderosas, la RedTraSex e soprattutto ad Elena Reynaga (Ti prometto che quando verrai in Italia esaudirò la tua richiesta: conoscere un bell’italiano che ti «rigiri come un calzino». Com’era già? Le vecchie non scopano? Se lallero).

N.B. In alcuni punti ho preferito usare il termine “vecchia” perché credo che – così come è avvenuto per puttana e frocio – sia necessario riappropriarsi e risignificare anche questo termine. Riprendiamoci tutto!

Elena Reynaga: https://www.instagram.com/elenaevareynaga/

RedTraSex: https://www.instagram.com/redtrasex/

Ammar: https://www.instagram.com/putas.feministas/

Putamente poderosas: https://www.instagram.com/putamentepoderosas/

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