Il cliente non esiste
Laura, Russia
Laura è una donna di circa 40 anni, ma ne dimostra molti di meno. Come tante altre, la sua prima esperienza con il sesso per lavoro fu all’interno di un night club. Ora lavora principalmente in casa, e solo ogni tanto scende in strada.
«Ho pensato tante volte di smettere, ma è difficile. Poi sai, ci sono tanti bei ragazzi, uomini eleganti. Per la verità c’è di tutto: belli, vecchi, giovani…di tutto».
Anna, Romania
Erano gli ultimi giorni di lavoro prima della sospensione temporanea del servizio. Il clima era già malinconico, ma i toni sempre i soliti. Si scherzava su una nostra (mia e di Pietro, l’altro operatore) possibile entrata nel mercato della strada.
A: «C’è posto, venite» ci dice prendendo la nostra proposta con una certa serietà.
I: «Ma secondo te guadagno di più qui o in casa?» le chiedo altrettanto seriamente. A: «Qua. I clienti mi dicono che in casa vogliono tutto scoperto. Prova, poi decidi. L’altro giorno arriva un cliente e voleva che smettessi perché secondo lui sono da sposare. Mi ha detto che mi dava 2000 euro al mese. Ma vaffanculo, non bastano. Affitto, bollette, spesa…me ne servono di più».
Valentina, Italia
Vale è una donna trans che ha lavorato in strada per circa 17 anni. Ora non lavora più, ma spesso mi racconta delle sue marchette.
«Secondo te è solo sesso quello che cercano i clienti?» le chiedo.
«Il sesso diventa la cosa secondaria. Con il cliente si instaura anche un rapporto particolare, diventi quasi una di famiglia…un’amica. Per tre anni ho avuto un signore di 57 anni che senza fare niente mi portava al ristorante, mi pagava le bollette. Alla fine, ce l’hai tu il controllo. All’inizio questa cosa non la capisci. Pensi: loro ti danno i soldi, quindi comandano, ma non è così. Sei tu che hai il coltello dalla parte del manico. Quando capisci questa cosa cambia tutto. Hai più consapevolezza».
Sandra e Nicol, Perù
Eccoci arrivat* dalle favolose signore della strada: le trans peruviane. Era una notte accaldata di fine agosto, e loro erano splendide splendenti. Sandra, facendo un tiro dalla sua Marlboro rossa, inizia a raccontarci qualche aneddoto sui clienti dell’ultima settimana.
«L’altro giorno arriva uno e mi chiede se sono donna. “Vado solo con donne” diceva».
Nicol, che posizionata qualche metro più in là aveva ascoltato tutta la conversazione, si avvicina e interviene:
«Seee…dopo due minuti te lo stava già ciucciando, vero?».
«Sì» conferma Sandra, annuendo.
Le due si guardano e battono un cinque alto.
Per molti anni, la letteratura e più in generale il dibattito sul fenomeno della prostituzione si sono sviluppati attorno alla figura della prostituta. Dapprima percepita come malvagia, delinquente e difettosa, con la nascita dei valori della famiglia borghese, la prostituta diventa oggetto di politiche sociali volte alla sua redenzione.
Ma nel turbinio di discorsi moralisti, paternalisti e caritatevoli, c’era un grande assente: il cliente.
La pratica di acquistare un servizio sessuale da parte di uomo era culturalmente accettata. Non c’era altro da dire. Gli uomini – e badate bene solo gli uomini – avevano delle necessità, dei bisogni fisici innegabili. Per dirlo con la Cutrofelli:
«Tutti si chiedono perché la donna vende sesso, nessuno si chiede perché l’uomo compra: questa è la norma, questa è la legge naturale».
Quand’è che allora i clienti diventano oggetto di sapere?
Nonostante un piccolo accenno nel dopoguerra italiano, le prime riflessioni sistematiche nascono intorno agli anni 70–80 del Novecento, indubbiamente sulla scia della riflessione femminista della seconda ondata.
Una delle prime a condurre una ricerca sulla domanda fu proprio Maria Rosa Cutrofelli con “Il cliente: inchiesta sulla domanda di prostituzione”, pubblicato nel 1981.[1] In quegli anni fioriscono numerose indagini sul ruolo sociale del cliente. Guido Blumir con Agnes Sauvage, Carla Corso e Sandra Landi, Luisa Leonini, Roberta Tatafiore sono solo alcun* delle autrici e degli autori che con diverse modalità hanno attivato una riflessione sulla rilevanza sociale e culturale della domanda di sesso a pagamento.
Tuttavia, ricerche accademiche, saggi e dibattiti, non hanno saziato gli animi di chi ancora oggi si chiede perché. Perché gli uomini pagano per il sesso?
Ormai lo sapete, con questa rubrica vogliamo mostrarvi la pluralità dell’industria del sesso, e in modo particolare della strada. Ma la pluralità e la complessità che tanto amiamo non riguardano solo chi offre servizi sessuali, bensì anche chi li acquista.
E dunque, accogliendo complessità e accettando l’assenza di una riposta definitiva, cercherò di andare oltre le narrazioni sensazionalistiche – tuttora in voga – che vedono la sessualità maschile come una bestia rapace in cerca di una preda da dominare.
Infatti, pretendere di spiegare la domanda maschile di sesso a pagamento o con la presunta incapacità dell’uomo di domare i propri istinti, o con la volontà di ribadire e/o rivendicare la propria virilità minacciata è quantomeno parziale se non errato.
Il cliente, inteso come figura dai caratteri ben definiti, non esiste, semmai esistono i clienti e le clienti. Il mercato del sesso è democratico, come dice Laura: “c’è di tutto”. I clienti sono impiegati, imprenditori, camionisti, social media manager. I clienti sono grassi, magri, abili, diversamente abili, giovani, vecchi, di mezza età. I clienti sono eterosessuali, bisessuali, omosessuali, pansessuali. I clienti sono single, sposati, monogami, poliamorosi, anarchici relazionali.
I clienti sono donne. I clienti sono trans FtM. I clienti sono trans MtF. I clienti sono gender fluid.
E così potremmo continuare pressoché all’infinito, perché, alla fine, parafrasando Colombo[2], i/le clienti sono persone e sono persone banali, laddove banale non è sinonimo di negativo.
E in quanto persone banali convivono con desideri, voglie, insicurezze e aspettative da soddisfare.Pertanto, le ragioni che portano un uomo, una donna o chicchessia ad acquistare un servizio sessuale-erotico-sensuale-romantico sono molteplici, e spesso, poco inquadrabili.
«Il sesso diventa la cosa secondaria»
ci dice Valentina.
La prostituzione è una relazione in cui si giocano sguardi, desideri, finzioni, emozioni. Ma attenzione: ribadire che non si tratta solo di un atto meccanico e distaccato, non significa negare la possibilità che lo possa essere, né tanto meno giudicare coloro che nel sesso a pagamento cercano questo. Non ci capita forse anche nella vita privata di fare un sesso meccanico e distaccato persino con le persone che amiamo? Io credo di sì.
Un’altra questione che puntualmente viene sollevata, soprattutto dal movimento abolizionista è quella del potere.La relazione cliente uomo e prostituta donna sarebbe sbilanciata, ovviamente a favore del cliente. Le storie di strada di oggi, in particolare quella di Vale, ci aiutano a capire che il potere non è unidimensionale, anzi.
La prostituta donna, perché è di lei che si parla, non è un oggetto inerme in attesa di richieste da seguire alla lettera, e guai fare diversamente. No. La sex worker è un prima di tutto un soggetto. Una persona capace di scegliere, stabilire limiti, segnare confini. La prostituta è capace di dire no. E quando il suo no non viene rispettato, non si sta più parlando di lavoro sessuale, ma di molestia.
Nel 2013 Giorgia Serughetti scrive un testo che, a mio parere, costituisce una pietra miliare per coloro che non solo amano andare oltre, ma che non temono l’assenza di una risposta semplice e lineare. Serughetti, dopo una ricostruzione dettagliata dei discorsi prodotti finora sul mondo della domanda, ci suggerisce una nuova chiave interpretativa.
La prostituzione andrebbe interpretata tenendo conto sia delle trasformazioni economiche, che di quelle che afferiscono alla sfera della sessualità e dell’intimità. In altre parole, le sue, per avere una visione più amplia e complessa, dobbiamo inserire la domanda di consumo sessuale
«all’interno di un quadro di più ampie e profonde interconnessioni tra la sessualità, con le sue evoluzioni ludico-ricreative, e l’economica tardo capitalistica, con le sue trasformazioni in senso post-industriale».[3]
È solo attraverso l’osservazione e lo studio di fenomeni globali complessi che possiamo comprendere non solo la proliferazione e specializzazione di forme di sesso commerciale, ma anche – e questo è il caso che interessa noi oggi – la crescita della pratica del consumo sessuale-erotico-sensuale e la sua costante trasformazione.
Infatti, la domanda, dall’essere pratica e rito collettivo all’epoca delle case, diventa un viaggio solitario a bordo di una macchina o all’interno di una stanza a porte chiuse.[4]
La “solitudine” del cliente ben si sposa con una visione patologizzante che è allo stesso tempo figlia e madre dello stigma. Lo sappiamo, lo stigma si situa su più livelli e colpisce tutt* coloro che hanno a che fare con il mercato del sesso, e dunque anche i clienti.
Se l’obiettivo futuro è quello di andare verso una de-stigmatizzazione del lavoro sessuale e di chi lo esercita, dobbiamo prima sollevare i clienti maschi dal ruolo del carnefice.
Perché se c’è un carnefice c’è una vittima.
P.S. Ho parlato quasi sempre di clienti maschi perché la domanda femminile e/o non binary, nonostante non sia per nulla un fenomeno marginale, non è ancora stata sufficientemente e accuratamente studiata. Chissà perché.