Sex work e Covid19: tra solidarietà e retoriche proibizioniste
Claudia, Romania
C. è una delle prime persone con cui mi metto in contatto da quando siamo in lockdown. Decidiamo di videochiamarci. È strano. L’avevo sempre vista con trucco, parrucco e paillettes, ora invece sta impastando il pane con il mollettone in testa.
«Sei sempre bellissima» le dico.
«Eeeee siiiii! Col cazzo. Sono disperata. Non lavoro da 1 mese praticamente. C’ho affitto da pagare, devo mandare i soldi in Romania. C’ho mia mamma e i miei figli. Sono disperata».
Roxana, Albania
R. è la bella impenetrabile, la bella che non deve chiedere mai. Infatti, inizialmente, quando si mette in contatto con me, mi stupisco. Le parlo della campagna di crowfunding e quindi della possibilità di ricevere un sostegno economico, oppure dei pacchi alimentari dal comune.
«No tesoro, ci sono poveracce messe peggio. Io c’ho un cliente che grazie a dio mi paga tutto. L’altro giorno mi ha dato i soldi per pagare l’affitto. Non so quanto durerà però. Credo che lavorerò lo stesso, magari con quelli che conosco meglio. Che cazzo dobbiamo fare?! I soldi finiscono».
Morena, Ecuador
Dopo giorni di insalate senz’anima ero così felice di mangiare una pasta al sugo, che manco vedere Elettra che twerka mi rende così su di giri. Ma ecco che, quando stavo per dare il primo morso, squilla il telefono. È un numero che non conosco. Immediatamente penso a mia mamma, che qualche ora prima mi aveva avvertito che di lì a poco avrebbe cambiato numero.
Rispondo.
«Ciao puttanona!».
Dopo qualche secondo di disorientamento capisco che sicuramente non è mia mamma. Poi riconosco la voce: è Morena, una trans ecuadoregna di cui ricordo soprattutto le “labbra” (e chi ha seguito le storie di strada sa a cosa mi riferisco).
«Senti chi parla» le rispondo.
«Non so che cazzo fare, credimi. Non ne posso più. Siamo in 4 in una casa minuscola. I soldi stanno finendo e la proprietaria di casa ci minaccia di cacciarci se non paghiamo l’affitto».
«Senti, ma hai pensato di iniziare a lavorare online?» chiedo a lei, così come alle altre.
«Ma come faccio? Non ho una carta, condivido lo spazio con altre persone e poi…non so fare».
Dopo aver chiacchierato per più di 40 minuti, decido di tornare alla mia ormai gelida pasta.
«Dai tesoro, vado mangiare. Ci sentiamo domani»
«La vuoi una foto di un bel cazzone?»
«Magari domani…»
Oggi è il 30 aprile. 53° giorno di quarantena.
In questo mese e mezzo sono cambiate moltissime cose.
Tante persone si sono viste ridurre drasticamente il proprio orario di lavoro, alcune, quando ci dicevano #restateacasa, dovevano comunque uscire per andare a lavorare, altre hanno dovuto barcamenarsi tra una riunione su Skype, il corso di zumba su Meet e una diretta su Instagram. Altre ancora, però, il lavoro, l’hanno perso.
Tra queste migliaia di lavoratrici e lavoratori in crisi, ci sono anche loro: le/i sex workers.
A partire dal primo DPCM, il mercato sessuale è cambiato profondamente. Le presenze su strada si sono via via azzerate, gli annunci sui siti d’incontri sono diminuiti progressivamente (da 24.000 annunci al giorno a 1.600), e conseguentemente anche la domanda (-9,20 % le ricerche legate alla parola “escort” a inizio aprile).[1]
Ad aumentare invece, è il telelavoro sessuale o, come lo ha definito Valentina Melo, smart hot work. Con telelavoro sessuale mi riferisco a tutte quelle forme di sex work che si esercitano online e che vanno dalla vendita di foto, video e/o intimo, agli shows in cam, passando per il sexting e le cosiddette “linee erotiche”.
A questo punto forse qualcun* penserà: “beh dai, allora possono continuare a lavorare online!”. Non esattamente.
Il telelavoro sessuale merita una riflessione, che va ben oltre il lavoro in sé, andando a toccare questioni più ampie, legate allo stigma, alla classe sociale e alla nazionalità.
Lavorare online significa esporsi, significa la possibilità che il nostro materiale finisca dove non vorremmo che finisse, ma soprattutto significa correre il rischio di essere riconosciut* da amici/amiche e familiari. Lavorare online vuol dire anche alfabetizzazione linguistica e soprattutto digitale, vuol dire avere internet, uno smartphone, una mail e preferibilmente un conto.
Quindi, per tornare a quello che forse avete pensato: no, il telelavoro sessuale non è per tutt*. Questo, per il semplice (e complesso) fatto che non tutte le persone se lo possono permettere.
Per tornare alle trasformazioni del mercato sessuale, esse non riguardano solo il mercato in sé, bensì anche le sue rappresentazioni, soprattutto quelle delle soggettività coinvolte.
Con la pandemia sembra essere tornato in voga, quello che Anneke Necro in un articolo su El Salto, definisce come un «movimento neo-igienista del XXI secolo».
Infatti, in tempi di pandemia globale, la paura del contagio viene strumentalizzata e utilizzata per rinforzare assunti proibizionisti. Da un lato, la lavoratrice sessuale (quasi mai il lavoratore) – un po’ come avveniva nel secolo precedente – viene rappresentata come una possibile fonte di trasmissione del virus, come un corpo infetto; dall’altro viene – ancora una volta – spogliata della sua soggettività per incarnare l’archetipo della vittima.
A questo proposito, in Spagna, il 21 aprile, il Ministero delle Pari opportunità ha pubblicato un documento che ha ampliato il Piano di Contingenza contro la violenza di genere difronte la crisi del Covid-19 a «donne vittime di tratta, sfruttamento sessuale, e a donne in contesti di prostituzione».
Peccato che per accedere alle misure predisposte, come ad esempio il salario minimo o l’alternativa abitativa, si debba avere alcuni requisiti. Indovinate un po’ quali? In primis, dichiarare di essere una vittima.
Il discorso proibizionista, dunque, fa leva su un sentimento globale e viscerale per stigmatizzare, vittimizzare e marginalizzare ulteriormente un intero collettivo di lavoratrici e lavoratori.
Ma qualcosa è successo. A dire il vero un po’ di più di qualcosa.
«Grazie a Dio qualcuno si è ricordato che esistiamo anche noi su questo mondo»
è stato il commento di Morena quando le raccontato che, in Italia, un collettivo chiamato Ombre Rosse, assieme al Comitato per i diritti civili delle prostitute, il Mit e tante Unità di strada della rete Antitratta, aveva lanciato una campagna di raccolta fondi per sostenere migliaia di lavoratrici e lavoratori sessuali in difficoltà.
Questo virus che qualcuno ha definito “democratico”, ci ha privato di tante cose, la più preziosa di tutte la libertà.
Libertà di spostarci, viaggiare, contaminarci l’una con l’altr*. Ma se c’è una cosa positiva in tutto questo, che vince persino il virus dello stigma dei discorsi proibizionisti-sessuofobici, e che mi fa respirare un vento di libertà è la solidarietà, il consolidamento e il protagonismo dei movimenti di sex workers.
Sono tantissime le associazioni, i collettivi, i sindacati che in tutto il mondo si sono uniti e – con l’appoggio di coraggios* alleat* – hanno preso parola, chiedendo diritti economici e civili per le soggettività del mercato sessuale.
Non posso però fare a meno di chiedermi una cosa: che cosa succederà quando tutto questo sarà finito? Quando si ripristinerà la normalità, le richieste delle/dei sex workers torneranno nell’ombra? Si tornerà nella più totale ipocrisia?
Non lo so. Ho tanta paura, ma chiudo gli occhi e mi dico che non succederà.
Forza!
P.S. un grazie immenso va alle centinaia di operatrici e operatori, alleat* e sex workers che stanno lavorando giorno e notte per consegnare pacchi alimentari, distribuire aiuti economici e offrire sostegno alle persone più vulnerabili.
Giulia Zollino
Link:
Lista iniziative in sostegno delle/dei sex workers: https://www.redumbrellafund.org/covid-initiatives/
Campagna italiana di raccolta fondi: https://www.produzionidalbasso.com/project/covid19-nessuna-da-sola-solidarieta-immediata-alle-lavoratrici-sessuali-piu-colpite-dall-emergenza/?fbclid=IwAR0WO6iF78MmE6GcxcdQeh41rBDoSEFeEE2BJZGgaBW4ux0XtBdYIMQGfrw
Anneke Necro articolo: https://www.elsaltodiario.com/trabajo-sexual/movimiento-neohigienista-usar-covid19-estigmatizar-putas
[1] Dati ricavati da Escort Advisor Insight: https://ea-insights.com