Storie di Strada 9: speciale Putitalks (pt.1)

“Ragazze Allegre” ieri come oggi

Oggi è la giornata internazionale delle/dei sex workers.  

Era il 2 giugno del 1975 e un centinaio di prostitute, stanche delle multe, le detenzioni e la violenza esercitata dalle autorità pubbliche, decidevano di occupare la chiesa di Saint Nizier a Lione.

«Ragazze allegre nella casa del signore» era il loro motto. 

La protesta durò fino al 10 giugno, quando il Ministro degli Interni ordinò lo sgombero delle chiese occupate (da quella di Lione l’occupazione si estese alle chiese di Marsiglia, Montpellier e Parigi).

Purtroppo, il governo non accolse le loro richieste, ma il 2 giugno 1975 segnò l’inizio del movimento delle lavoratrici sessuali e oggi vogliamo celebrarlo con uno Storie di Strada un po’ speciale. 

A fine aprile è nato Putitalks. Volevo raccontarvi, attraverso le voci delle lavoratrici sessuali di altri paesi, come l’emergenza del covid-19 stava influenzando le loro vite e più in generale tutto il settore del lavoro sessuale.

Oggi, 2 giugno 2020, ricordiamo le prostitute di Lione, Marsiglia, Montpellier e Parigi riportando le voci di alcune delle esponenti degli attuali movimenti di lavoratrici sessuali.

Disclaimer: l’articolo sarà diviso in due parti per permettere una lettura fluida e non sacrificare nulla dei contenuti più salienti di questo speciale.

la camera di valentina
Georgina Orellano, grafica per la diretta instagram su @giuliazollino

L’importanza di riconoscersi come “puttana”  

Georgina Orellano, Argentina 

«Nessuna si salva da sola. L’unico modo per resistere è organizzarsi»

Georgina Orellano è una delle voci più interessanti del movimento puteril argentino. È una lavoratrice sessuale e da svariati anni è la segretaria generale di AMMAR (Associazione Donne Meretrici dell’Argentina), che come dice lei stessa, vuole essere uno spazio di articolazione sociale. 

Se ufficialmente l’Argentina adotta un modello abolizionista, e dunque non criminalizza la prostituzione in sé, ma solo le attività connesse allo sfruttamento; di fatto, soprattutto conseguentemente alle modifiche della legge contro la tratta, finisce per criminalizzare con ordinanze municipali e decreti provinciali, chi esercita autonomamente il lavoro sessuale – proibendo ad esempio di lavorare in strada o di usare i social per promuoversi. 

La pandemia ha reso ancora più evidente la situazione di marginalità e precarietà di molte lavoratrici sessuali, in particolare quelle migranti e del collettivo trans/travestis, che quotidianamente rischiano di essere sfrattate (il governo ha pubblicato un decreto per vietare gli sfratti, ma molte lavoratrici non hanno un contratto regolare di affitto), multate e detenute.  «Non è lo stesso avere diritti e poter rispettare la quarantena, stare a casa tua, sapere di avere garantiti i diritti in quanto lavoratore o lavoratrice, e non averli. Chi non ha diritti non ha opzioni» spiega Georgina. 

AMMAR, oltre ad aver lanciato una campagna di crowdfunding, ha attivato una rete di supporto che coinvolge numerose organizzazioni locali e statali come l’INADI (‘Istituto nazionale contro la discriminazione, la xenofobia e il razzismo).

Affascinata dalla forza e capillarità del movimento argentino, le chiedo se secondo lei questa possa essere un’occasione per consolidare maggiormente il movimento delle/dei sex workers.

«AMMAR è un’organizzazione che ha 25 anni, ed è molto conosciuta in Argentina, ma molte colleghe si stanno avvicinando solo ora. Prima risolvevano tutto sole o non si avvicinavano per la questione dello stigma. Avvicinarsi a un sindacato di lavoratrici sessuali significa superare lo stigma e riconoscerti “puttana”. […] All’inizio è difficile riappropriarsi dell’insulto e accogliere come identità politica parole che hanno un peso sociale così negativo, così stigmatizzante.  Di fatto noi eravamo le prime a rifiutare che ci chiamassero puttane, che ci chiamassero prostitute. Ci chiamavamo o lavoratrici sessuali o meretrici.  

E capiamo questa logica di riappropriarsi dell’ingiuria e di contestare il significato di queste parole anche perché la lotta di AMMAR, e credo che la lotta delle lavoratrici e dei lavoratori sessuali, oserei dire a dire, non è soltanto per ottenere diritti lavorativi. Noi potremmo pure avere quelli della previdenza sociale e della pensione, però se continua ad esserci uno sguardo stigmatizzante verso le lavoratrici sessuali, continueranno ad esserci molte situazioni di violenza, di abuso, di persecuzione e di un non accesso reale ai nostri diritti. E questo non te lo dà una legge sul lavoro sessuale […]. 

Poter vivere in una società senza stigma e senza discriminazione e camminare per strada senza che ti indichino, senza che ti facciano domande, senza che ridano di te, senza che ti insultino, significa fare la grande battaglia culturale. La battaglia culturale bisogna farla anche con una lotta del linguaggio perché tutto il linguaggio è politico e da qui abbiamo capito che già avevamo regalato troppo al patriarcato e continuare a regalargli le nostre parole, le nostre identità ci fa regredire […]. 
Di fatto ci riconosciamo puttane, ci riconosciamo prostitute e questo per noi ha segnato, nel nostro paese, un prima e un dopo».


la camera di valentina
Anneke Necro, grafica per la diretta instagram su @giuliazollino

Da pericolosa a vittima indifesa 

Anneke Necro, Spagna 

«Noi siamo svantaggiate e indifese proprio perché non siamo riconosciute come lavoratrici». 

Anneke Necro è una performer, regista e dominatrice catalana. Fa parte del sindacato Otras (Organizzazione di lavoratrici sessuali) costituitosi nel 2018 a Barcellona. 

In Spagna, paese in cui vige un modello abolizionista, la situazione delle/dei sex workers è pressoché la medesima degli altri paesi, compreso il nostro. Le misure attuate dal governo “femminista” non contemplano le lavoratrici del sesso, a meno che queste non si dichiarino vittime. Otras, assieme ad altre organizzazioni di sex workers, ha lanciato la prima campagna su GoFundMe e nelle prime settimane di lockdown ha redatto una guida sul telelavoro sessuale per aiutare le persone che vogliano approcciarsi a questa nuova forma di lavoro.

Nello scorso Storie di strada ho citato un articolo di Anneke su “El Salto”, in cui raccontava della nascita di movimento neo-igienista, che utilizzerebbe il Covid-19 per stigmatizzare ulteriormente le prostitute. Ne approfitto per chiederle di approfondire la questione:

«Nelle rappresentazioni offerte dai media ho potuto osservare chiaramente due tendenze. Inizialmente si è parlato del lavoro sessuale come di un veicolo di espansione e trasmissione del virus. Infatti, qualcun* ha addirittura utilizzato la parola “abolovirus” […]. Sono espressioni che ricordano molto la teoria igienista del XIX secolo, che portò alla creazione di una serie di leggi di contrasto al lavoro sessuale che si riteneva fonte di diffusione di malattie come la sifilide e la gonorrea […]. 

Quindi si attribuiva al lavoro sessuale e alla presenza delle prostitute nelle strade l’origine di queste malattie che si stavano diffondendo. Così si decise di regolamentare la prostituzione, istituendo i bordelli. Le prostitute furono trasferite dalle case e dalle strade dove lavoravano e portate nei bordelli, dove erano costantemente controllate dalla polizia dichiaratamente ai fini della sicurezza delle prostitute stesse e della popolazione. Dunque, ora stiamo assistendo al ritorno di questo discorso, connesso al Coronavirus, da parte di persone preoccupate che le donne svolgano lavoro sessuale perché le considerano fonte di infezione.  

[…] Successivamente, grazie anche al lancio della nostra prima campagna su GoFundMe che è andata molto bene […] il discorso dei media si è assestato su un altro livello, quello della feticizzazione del dramma [con discorsi come]: “Queste povere donne hanno bisogno di aiuto per riscattarsi, questa situazione è la prova che il lavoro sessuale e la prostituzione sono un male le donne sono completamente indifese”. E non è così.

Noi siamo svantaggiate e indifese proprio perché non siamo riconosciute come lavoratrici. Se io fossi riconosciuta come tale ora avrei la possibilità di chiedere un sussidio proprio come lo sta facendo la mia vicina di casa o chi altro. È tutto molto ridicolo. Tra l’altro le donne che oggi si trovano in condizioni di maggiore vulnerabilità sono proprio le donne migranti, ed è chiaro che il problema qui non è la prostituzione, ma piuttosto le leggi sull’immigrazione che provocano questa situazione di vulnerabilità». 

Anche se nel 1975 il governo francese tentò di zittirle, il movimento delle/dei sex workers non si è arrestato e mai lo farà.  

Le sex workers continueranno ad alzare la voce. E che voce! 

Lunga vita alle “ragazze allegre”. 


Interrompiamo qui la prima parte di questo speciale Putitalks nella giornata internazionale dei e delle sex worker. Prossimo appuntamento con la parte conclusiva: domenica 7 Giugno.

P.S. Non temete: i video dei Putitalks sottotitolati in italiano arriveranno presto sul canale IGTV di Giulia Zollino. 

Traduzioni a cura di: 
Giulia Zollino  
Enrica Mattavelli 
Silvia Calderoni 
Alessia Palermo 
Antonella Aloia 

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